O non hanno capito, oppure fingono di non aver capito. O entrambe le cose, un po’ e un po’. Per Taranto – e non solo a causa dell’Ilva, ma anche degli altri colossi del suo polo industriale – la contrapposizione ambientalisti-industrialisti non funziona più. Non esiste più. Questa è ormai archeologia, industriale e della storia industriale. Una cosa che, forse, poteva andar bene nella mitologica Età dell’oro della Rivoluzione industriale, e fino all’altro ieri, nel Novecento, ma che oggi, e specificatamente per Taranto, non ha senso.
A Taranto il problema non è ambientale. A Taranto il problema è di una sottile linea rossa che separa la vita dalla morte. Al di qua di questa linea, si può ancora e ragionevolmente discutere di livelli di emissioni nocive e di compatibilità e di prezzi necessari da pagare. Ma al di là della medesima linea, ogni discorso è inutile, insensato, superato, e spesso anche in malafede, perché di fronte alla morte certa – per diossina, poi, o per le altre decine di sostanze cancerogene – non c’è nessuna mediazione possibile, nemmeno invocando il sacro totem del Lavoro. Perché se muori, o ti colpisce una malattia terminale, non puoi lavorare, e del Lavoro non sai che fartene.
Questo è il problema di Taranto, che ho affrontato ne “La città delle nuvole”, uscito tre anni fa e, purtroppo, oggi più attuale di allora.
Non volevo scrivere questa nota. “Ho già dato, leggetevi il libro”, ho detto in questi giorni a chi mi chiedeva di dire qualcosa sull’ordinanza di chiusura di stabilimenti non solo inquinanti, ma anche usurati, obsoleti, che saranno spremuti ancora per qualche anno e poi chiuderanno lo stesso, saranno “dismessi” lasciando l’aria, la terra e il mare irrimediabilmente contaminati.
Ma poi, leggendo i giornali e guardando la tv, e vedendoli tutti (tutti) dalla stessa parte , pur con argomenti e motivazioni apparentemente diversi – i giornalisti Ferrara e Sechi e il sindacalista Landini, il nuclearista Battaglia e il finto avversario della diossina Vendola, sindacati e padroni, Bersani e Casini, Fitto e Di Pietro, operai e sigle ambientaliste à la pàge – ho pensato che sì, altre due righe potevo dedicarle a questa porcheria tarantina, che è un problema europeo e mondiale: non di tutela ambientale, ma di tutela della salute di chi lavora in fabbrica e di chi vive (vive?) a Taranto . Perché quella di Taranto non è solo una storia di micidiali emissioni, ma è una vicenda di gigantesche omissioni. In cui nessuno ha mai controllato niente. Per esempio, per anni l’Ilva, e l’Eni, e l’Edison, non hanno pagato centinaia di milioni di Ici, l’imposta comunale sugli immobili, senza che nessuno controllasse e chiedesse conto. Allo stesso modo, per anni, i dati sull’avvelenamento di esseri umani e animali sono stati nascosti e taroccati, oppure si è diligentemente evitato di rilevarli. Cos’è, catastrofismo o catastrofe vera l’abbattimento di cinquemila pecore e agnelli contaminati da diossina, come le cozze (il vanto di Taranto) e il latte materno delle puerpere, come il sangue e le urine degli abitanti (non solo degli operai) di Taranto, come le leucemie dei bambini al quartiere Tamburi e in tutta la città?
Ecco, lo sapevo, mi son fatto prendere la mano e sto raccontando di nuovo ciò che ho già raccontato e non voglio più raccontare. C’è il libro, chi vuole lo legga. E smentisca e denunci, se vuole e se può.
Invece no, si scrive e si pontifica senza conoscenze dirette – proprio come quei magistrati che fanno le indagini solo per delega e sui luoghi dei delitti ormai non ci vanno più – e ci si scaglia senza ragione contro i pochi che non vogliono berla questa storia del Lavoro-che-è-sacro. Ma con chi ve la prendete? Siete la stragrande maggioranza, state tutti assieme – quelli che non hanno capito, quelli che fingono e quelli che hanno capito benissimo – e attaccate il gip che ha firmato l’ordinanza di chiusura degli stabilimenti? Ma se quel giudice avesse voluto fare carriera, avrebbe fatto come tanti suoi colleghi e puntato dritto, chessò, a Berlusconi, per citarne uno a caso, mica all’Ilva!
Bisogna prima o poi avere il coraggio di dire che il lavoro non è sacro. Sacra è la persona umana, non il lavoro. Questo è solo un fattore di produzione – sia nella impostazione capitalista, sia in quella marxista -, e un fattore di produzione, per quanto importante, fondamentale, non vale una sola vita umana.
Il senso ultimo di questa riflessione è dunque la modifica dell’articolo 1 della Costituzione italiana. E’ vero che la Carta tutela la salute come diritto assoluto, ma Taranto ci sta insegnando che è giunta l’ora di fondare la nostra Repubblica non più sul lavoro, ma sulla persona umana.
La Repubblica italiana dev’essere fondata non più sul lavoro, ma sulla persona umana. Ecco l’insegnamento che viene da Taranto. Il Novecento è finito, la contrapposizione industrialisti-ambientalisti non ha più senso. L’unica cosa che conta è non morire per lavorare
31 luglio 2012
renato farina caracas
Lug 31, 2012 @ 23:19:56
Proteggere illavoro ma anche la vita umana e gli impianti industriali devono adeguarsi in questo senso non chiudere per proteggere ma modificare le emissioni affinche non uccidino
Nicola Piccenna
Ago 01, 2012 @ 05:14:23
Grazie Carlo, una sintesi chiarissima che pone ciascuno di noi nella condizione di affrontare la questione nell’unico modo umanamente accettabile: scartare ciò che è incompatibile con l’umanità, cioè la morte, valorizzare quanto è indispensabile, cioè l’ambiente, la salute, il lavoro. Non mi possono dire che a Taranto l’unica forma di lavoro praticabile è quella che avvelena. Come non possono astrattamente anteporre il lavoro al fine che il lavoro porta in sè, cioè il guadagnarsi la vita. L’insulsaggine dei politici che ci siamo eletti, compresi quanti non hanno votato e avrebbero potuto farlo, sta tutta nell’incapacità di proporre una politica per l’uomo.
Grazie Carlo e buon lavoro.
Antonio Daniele
Ago 01, 2012 @ 07:00:53
Lo Stato lascia che i cittadini si ammalino per poi curarli, il tutto sempre a spese della collettività mentre il privato fa profitti a ns spese! Ma da chi siamo stati sgovernati in tutti questi decenni e… ci si accorge solo ora?? Grazie, Carlo, per la tua panoramica – che condivido al 100% – delle nefandezze di questa classe politica – nessuno escluso – che, nella indifferenza dei cittadini (concordo anche con Nicola), ha portato solo disastri attuali.
paola
Ago 01, 2012 @ 10:01:23
non ci sono parole, davvero….per la maggior parte sono una massa di corrotti e massoni….non c’e’ via di uscita….sono d’accordissimo con lei sig. carlo vulpio
Roberto Palazzo
Ago 01, 2012 @ 14:34:02
dott. Vulpio,
purtroppo della scelleratezza con cui l’ambiente, l’aria, l’acqua, la terra, le persone e gli animali sono stati trattati per anni, continueremo a pagarne le conseguenze per chissà quanto tempo ancora.
Qui non si tratta di dividere le scelte per “categoria”, lavoro o morte, pane o tumore, ambientalisti o operai, ma si tratta di decidere se perpetuare un atteggiamento che tra connivenze, convenienze, silenzi e occultamenti ha portato a questa situazione attuale, che se non totalmente irreversibile, è quantomeno grandemente compromessa. Complice soprattutto l’omertà politica-sindacale-medica da decenni inerte di fronte a fenomeni difficilmente giustificabili.
Qui si tratta si decidere se vivere o meno. Anche le giustificazioni addotte da molti operai lasciano abbastanza perplessi. “Come faccio a vivere senza un lavoro?”, “come faccio a sfamare i miei figli?”.
Stiamo ormai vivendo un paradosso dei paradossi, amiamo più il denaro della nostra stessa vita, al punto da farci sembrare normale, come fatto ineluttabile, quello di ammalarsi di cancro per lavorare. O accettare che i nostri figli, le nostre mogli, i nostri genitori possano ammalarsi, vederli consumare giorno per giorno, nel fisico e nello spirito, in reparti di oncologia che allungano solo il tempo di un destino inevitabile.
Ma abbiamo il lavoro e possiamo “mantenere” la famiglia, questa è la risposta, triste e oscena.
Anche questo è un diritto acquisito, quello di ammalarsi, frutto di un compromesso sancito pur di lavorare. Lavorare ma pagando un caro prezzo, per sé, per i propri famigliari.
Perché un prezzo così amaro a pagarlo è un’ intera comunità, che non è solo quella legata all’ILVA, che non è solo quella tarantina più direttamente colpita, (anche nel brindisino la situazione non è rosea!) ma di una vasta area del Salento (e non solo!) che da anni si ritrova a combattere quotidianità fatte di sofferenze. Sono notevoli le incidenze di neoplasie soprattutto nei più giovani e nei bambini, con forme sempre più aggressive, e che troppo spesso lasciano poche speranze.
I casi si sono verificati anche nella mia famiglia e tra miei conoscenti, ultimamente è toccato anche a me. A 32 anni, (nonostante mi tenga sempre in forma, curando l’alimentazione e godendo sempre di ottima salute), dopo alcuni accadimenti, ho fatto degli accertamenti e mi è stata diagnosticata (e poi rimossa) una neoformazione vescicale, fortunatamente benigna. Alcuni consulti medici hanno dato tutti la stessa risposta, la patologia non ha “origine chiara”, ma “è facile presumere che l’ambiente circostante, l’inquinamento, abbia un’influenza preponderante”. Ora le cose, grazie a Dio, sembrano andare nel verso giusto.
Ma mi chiedo, come si possa stare zitti di fronte ad uno scempio ‘criminale’ che perdura da più di cinquant’anni?
E’ arrivato il momento di dire a gran voce BASTA!
Voglio chiudere riprendendo parte del contenuto di una lettera che ho scritto qualche tempo fa, sperando potesse risvegliare una coscienza etica e morale in qualche politico e osservatore; oggi ancora più attuale alla luce di quanto sta accadendo:
“BASTA! BASTA! BASTA! Bisogna dire basta all’omertà politica, agli occultamenti, basta a imprese che devastano, che inquinano e che avvelenano la terra , l’acqua e ciò che mangiamo e respiriamo. Basta a tutto ciò che da anni ha schiacciato, ha subordinato la salute dei cittadini a meri interessi e profitti senza scrupolo alcuno.
A 30 anni si ha il diritto di essere felici. Si ha il diritto di sognare. Si ha il diritto di guardare a lungo, anzi, lunghissimo termine. Non ci si può rassegnare, non si deve essere fatalisti.
Una società che non tutela la salute dei propri bambini, dei propri giovani non ha speranza, non ha futuro. Vuol dire che c’è qualcosa di ‘malato’ culturalmente.
Perché se la Salute è un diritto di ogni cittadino, allora è dovere dello Stato fare in modo che sia tutelata e preservata per ognuno di loro! Perché la Salute e la Vita non hanno colore politico”.
Antonio
Ago 02, 2012 @ 11:20:14
Caro Carlo, condivido tutto quanto hai scritto nell’editoriale riportato sulla pagina del sito di Libero di oggi 2 agosto e ritengo giustissime le motivazioni di carattere sanitario e ambientale che tu hai pesantemente sottolineato, che riportano al centro dell’attenzione l’importanza della salute della persona rispetto a quella oggettiva del lavoro. E’ assurdo che sin dal 1995, anno del passaggio di mano della proprietà Ilva dall’ente pubblico a quello privato, non si sia sentita la necessità di una intelligente programmazione di bonifica dei luoghi, questo grazie alla complicità di una notevole mole di atteggiamenti omissivi.
Ma, al danno si aggiunge anche la beffa. Il guasto ambientale, dovrà essere riparato con soldi pubblici, nel senso che ILVA sporca e i cittadini si accolleranno anche l’onere della pulizia. Si parla di una prima trance di 336 ml.di euro, mentre l’utile netto di questa industria, pare che sfiori 1 miliardo di euro l’anno.
Questo guasto ambientale credo che si sarebbe potuto evitare solo con la assunzione di normali atteggiamenti responsabili soprattutto da parte della nostra classe politica di competenza territoriale.
Non potremo permettere assolutamente che questa circostanza si trasformi in una guerra tra ambientalisti e lavoratori, distraendo l’attenzione da quello che è l’obiettivo principale, la salvaguardia della nostra salute innanzitutto.
Con stima
felice
Ago 02, 2012 @ 17:19:10
L’ipocrisia e il teatrino della politica continua ad andare in scena in maniera piu’ evidente questi giorni a Taranto cavalcando l’onda del dolore e alimentando una guerra tra poveri.
La drammaticita’ di questi momenti evidenzia quanto assassina e’ la politica del massimo profitto che a dispregio di tutte le norme e con la complicita’ di chi ha responsabilita’ di controllo e gestione politica del territorio ci ha reso maledettamente solo dei numeri in un bilancio economico globale.Il sistema e’ imploso e’ la crisi e’ la conseguenza di tutto cio’. Se chi ha governato in tutti questi anni avesse fatto il proprio dovere ,se chi doveva controllare non avesse chiuso gli occhi o guardato altrove oggi forse non c’era bisogno che arrivasse un magistrato a chiudere gli impianti ma:la sete di POTERE e di SOLDI hanno fatto perdere la bussola a tanti e ora piu’ che mai c’e’ bisogno di anteporre la PERSONA e l’AMBIENTE al profitto come ha denunciato da tempo e in varie inchieste Carlo Vulpio.
Mauro Miserendino
Ago 02, 2012 @ 19:21:18
Non credo si debba toccare l’articolo 1 per ammettere che la persona umana viene prima del lavoro. Il senso di quell’articolo è che il lavoro ci fa uscire di casa, ci fa conoscere tra noi, ci fa socializzare e ci fa guardare a testa alta, tutti. Ci rende partecipi di uno stesso progetto e ci fa democrazia e ci fa Italia. No lavoro, no Italia. Che la persona umana sia più importante dell’Italia è vero, ma è una riflessione leggermente diversa.
Roberto Palazzo
Ago 07, 2012 @ 11:17:39
Aggiungo una riflessione di Bruno Tinti davvero interessante, pubblicata oggi su FQ. http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/07/vere-colpe-sullilva/318983/
claudio
Ago 18, 2012 @ 20:30:34
oggi é morto salvatore orlando il corriere gli dedica un articolo esaltando le sue inprese industriali.
vorrei ricordare gli orlando come una vecchia stirpe di industriali toscani in particolare lo stabilimento di fornaci di barga (lu)che per decine d’anni ha avvelenato il serchio dove noi ragazzi ci tuffavamo incosciamente,in piu le migliaia di litri di acidi uccidevano miriadi di pesci che sempre per ignoranza si raccoglievano portandoli a casa (la guerra era da poco finita e la fame era tanta) forse io sono qui a raccontarla perche primo non piace il pesce poi sono partito per cercare lavoro,ma quanti operai, amici, hanno avuto solo qualche parola su una lapide ,mentre agli orlando si deicano articoli di giornali
sara
Set 08, 2012 @ 13:08:45
Ciao,bastava leggere anni fà il tuo”città delle nuvole” per rendersi conto,chi voleva sapere ha saputo,chi non voleva..era già tutto previsto come cantava Cocciante..anche sulla Fatwa di Vendola su di te allora..ora il Niki nazional popolare,il comunsta del loft accanto fà lo gnorri..come se lui non fosse il presidente di regione ma l’ultimo scopino di Lecce..buffone che ha contribuito ad arricchire il San Raffaele di Don Verzè(che è tutto dire a lui lo stimava tanto)..come sugli indifferenti di Gramsci: “..questi ultimi si irritano..se ne tirano fuori..loro non sapevano..loro non sono responsabili”i Tarantini dovrebbero chiedere conto alla Regione e allo stato di ciò che ha fatto e sopratutto di ciò che non ha fatto.
helio
Set 26, 2012 @ 14:17:42
bello
Giada
Giu 06, 2013 @ 10:44:40
Sto leggendo il tuo libro riguardante l’argomento e ogni pagina letta non fa che aumentare il senso di rabbia verso uno stato inutile, anzi dannoso per la popolazione. Mi sono voluta informare sulla questione, quando nel 2012 c’è stato lo scandalo dell’ilva e sono arrivata al tuo libro. Io ho 19 anni, sto per affrontare la maturità e ho deciso di esporre alla commissione d’esame questo argomento. Anche se in piccolo, spero di poter diffondere ciò che realmente succede a Taranto, dimostrando che c’è gente come te, Carlo, che si impegna per far emergere la verità. Tutto questo deve avere una fine!
Carlo Vulpio
Giu 08, 2013 @ 18:42:18
Sono lusingato. E incoraggiato. Vuol dire che che c’è ancora spazio per ragionare criticamente. In bocca al lupo.