Nella terra della taranta (dove l’arte sposò il cyborg)

I tesori di Galatina, dai dipinti dell’800 alle foto delle donne colpite dal morso del ragno, fino all’avanguardia di Giovanni Valentini

Galatina (Lecce)

La terra della taranta e del tarantismo, «La terra del rimorso» studiata e raccontata dall’antropologo Ernesto De Martino e dalla sua équipe (lo psichiatra Giovanni Jervis, l’etnomusicologo Daniele Carpitella, l’antropologa culturale Amalia Signorelli e il fotografo Franco Pinna), più che quella dei raduni folk della «pizzica» a loop – che pure servono perché fanno stare insieme e fanno ballare tanta gente e portano un po’ di soldi – è questa di Galatina, che si mescola con i 12 comuni limitrofi della Grecìa Salentina, una sorta di enclave linguistica chiamata così perché vi si parla il griko, antico idioma bizantino.

Galatina, 25 mila abitanti, è uno dei centri più belli e più importanti della Terra d’Otranto, che una volta comprendeva, oltre a quella di Lecce, anche le attuali province di Taranto e di Brindisi. La Terra d’Otranto, assieme alla Terra di Bari e alla Capitanata (Gargano, Tavoliere e Subappenino dauno), sono state «le Puglie» fino all’Unità d’Italia, quando diventarono «la Puglia», al singolare, che così venne battezzata anche nell’articolo 131 della Costituzione repubblicana. Una dimostrazione pratica che la teoria dei «confini naturali», molto utilizzata per fare le guerre, è quella che è. Ideologia. E infatti anche un Grande Pugliese come Gaetano Salvemini, che pure durante la Prima guerra mondiale era interventista, ma accettava l’irredentismo «solo come difesa della lingua e della nazionalità italiana», si scagliava contro tutti coloro che «sbraitano di confini naturali». Figuriamoci poi se ai «naturali» si aggiungono e si sovrappongono i confini «amministrativi», come quelli che delimitano le regioni. Non si colgono più né le similitudini né le differenze. E nemmeno la singolarità dei luoghi, che sono come gli individui, l’uno diverso dall’altro, unici.

A «Galatina città d’arte», dunque, ci vieni se vuoi capire com’è profondo e vario il mare, anche se qui il mare non c’è, poiché Galatina è equidistante o equivicina mezz’ora di auto da Gallipoli, mare Jonio, e da Otranto, mare Adriatico.

«L’unicità di Galatina riguarda non solo l’arte e la storia antica, indispensabili, ma anche l’arte e la storia contemporanea, che qui hanno trovato un centro propulsore originale e sono ancora tutte da scoprire», dice Salvatore Luperto, direttore artistico del museo «Pietro Cavoti», in cui sono custodite molte opere di tre galatinesi che tra l’Ottocento e il Novecento hanno lasciato il segno: acquerelli e disegni dello stesso Pietro Cavoti, dipinti di Gioacchino Toma e sculture di Gaetano Martinez, autore dell’inquietante Caino che troneggia in una sala del museo, oltre che della più nota Lampada senza luce, detta La Pupa, una sirena in bronzo che adorna la fontana del centro cittadino. Al «Cavoti» sono esposti anche i quadri di Luigi Caiuli, galatinese, e le fotografie del grande Franco Pinna, sardo – che fu anche fotografo di scena di Federico Fellini -, sul fenomeno delle tarantate, le donne che il morso del ragno, la taranta, secondo la tradizione popolare trasformerebbe in ossessi. Donne che per guarire dalla «possessione», il 29 giugno, giorno dei santi Pietro e Paolo, da ogni angolo della Terra d’Otranto dovevano venire a Galatina, nella cappella di San Paolo, dove si «liberavano» contorcendosi per terra come indemoniate e ballando in maniera sfrenata, persino sull’altare, e davanti a tutti. «Le foto di Pinna sono degli anni Cinquanta, ma questo “rito”, qui, è andato avanti fino a tutti gli anni Settanta – dice Luperto -, come documentano le foto, inedite, e che adesso accosteremo a quelle di Pinna, di un altro artista di Galatina, Giovanni Valentini, non certo uno sconosciuto al mondo dell’arte italiana, morto appena un mese fa».

Valentini è stato esponente di un’avanguardia che nella seconda metà degli anni ‘70 si era spinta molto addentro nei rapporti tra arte e natura, tra naturale e artificiale, e fu anche il primo a usare il termine cyborg, tanto da aderire in seguito al gruppo Ghen, il «movimento arte genetica», che da qui, da Sud, suggerì, dice Luperto, «di guardare alle implicazioni genetiche dell’arte, a quel codice primario che è il battito materno e che il bambino apprende già nel ventre della madre». Con le relative interazioni tra arte, religione e vita sessuale. Esattamente ciò che era stato portato alla luce da De Martino con la riscoperta e lo studio del tarantismo. E che oggi consente al viaggiatore che osservi i nove cicli di affreschi della meravigliosa basilica di Santa Caterina d’Alessandria, di fine Trecento, di comprendere perché – nonostante la «cristianizzazione» dei miti greci e successivamente la «latinizzazione» del cristianesimo greco-bizantino – Galatina non ha mai perso il suo vitale fascino pagano, che ne ha fatto l’epicentro della Terra del rimorso.

Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 2/8/2021

(foto ©Lucia Casamassima)