Malcostume, favori, compravendita di voti. L’esperienza personale della candidatura per vedere dall’interno i meccanismi perversi – sia a destra sia a sinistra – della campagna elettorale

Come funziona, in pratica, il voto di scambio? Chi e come lo organizza? Ed è, questo «scambio», solo politico-mafioso? O è più ampio, più seriale, più scientifico, più «indifferente»? Al punto da poter concludere, per provocatorio paradosso, che oltre a sciogliere i Comuni per tutelarli dalle infiltrazioni mafiose bisognerebbe anche sciogliere i clan mafiosi per tutelarli dalle infiltrazioni politiche? Cioè dalle infiltrazioni di quei comitati politico-affaristico-elettorali che ci ostiniamo ancora a chiamare partiti e che organizzano, molto più e molto meglio dei clan, il voto di scambio?

Per capirlo, ho messo in pratica quello che per me è il primo comandamento di ogni cronista e di ogni muratore: andare a vedere. E così l’anno scorso mi sono candidato a sindaco nel mio comune di origine, Altamura (Bari, Puglia), correndo da solo, con una lista mia, contro tutti gli altri (caravanserragli di decine di liste senza un domani, dall’accrocco di centrosinistra di Emiliano a quello di centrodestra di Sangiuliano).

Altamura ha 72 mila abitanti, tanti soldi e nessuna religione. Non è il sud povero e depresso, ma quello ricco, capace, e rapace. Un luogo perfetto per il voto di scambio di cui stiamo parlando, perché questo scambio è «oltre» il classico scambio politico-mafioso: è il voto di scambio che la politica (i comitati di cui sopra) organizza in maniera esemplare, in cui la mafia può esserci o anche no, dato che la mafia su questo terreno ha tutto da imparare e ben poco da insegnare. E questo anche per un’altra, fondamentale ragione: sarà pur vero che tutte le ideologie sono morte, ma è certamente vero che solo un’ideologia è sopravvissuta, e in Italia ha stravinto: il trasformismo, inteso non solo come cambi di casacca e giravolte dei politici, ma anche come condotta «normale» della cosiddetta società civile. I cui liberi individui sono disposti a vendere al libero mercato elettorale il proprio libero voto, non per 50, ma anche per 25 euro. Com’è appunto accaduto nella mia città alle Comunali dell’anno scorso. Dove un candidato (quello di Emiliano, di Sandrino Cataldo e persino del leghista Sasso) ha vinto per 18 voti sull’avversario (quello di Sisto e Sangiuliano).

Ebbene, entrambi gli schieramenti hanno beneficiato della scientifica battuta di caccia alla compravendita di voti. In una campagna elettorale, ad Altamura nel 2023, che definire «giolittiana» – esattamente nel senso in cui il grande Gaetano Salvemini raccontava le elezioni inquinate nella sua Molfetta e nei comuni pugliesi nel primo decennio del 1900 – è una definizione moderata. Lo sapevo che sarebbe andata in questo modo. Ma da cronista e da muratore ho voluto rendermene conto «dall’interno». Il punto più «alto» del mercimonio è stato non la promessa di una bombola di gas (almeno, quella serve ad alimentare una cucina o una stufa), ma un’app, che attraverso un sms inviato ai destinatari, che poi si autodistruggeva in mezz’ora, li invitava a raccogliere 4 voti per un compenso di 100 euro. L’sms si autodistrugge, ma se ne fai uno screenshot hai la prova della compravendita. E se una Polizia postale, o chi per essa, con o senza intelligenza artificiale, approfondisse, in un’altra mezz’ora si risalirebbe a chi ha attivato quel numero, inviato quel messaggio e beneficiato di quei voti. Oltre che, naturalmente, ai finanziatori di questi «fondi elettorali», per lo più imprenditori e appaltatori pubblici sempre pronti a spendere, nel passato nel presente e nel futuro, per tutte le campagne elettorali. A destra e a sinistra, sia per quelle dei «cattivi» sia, e ancor meglio, per quelle dei più insospettabili «buoni». Tutto questo, e altro, l’ho detto nei miei discorsi pubblici e nelle piazze, e l’ho scritto in una denuncia indirizzata alla procura della Repubblica di Bari, che il 25 aprile 2023 (prima quindi del voto e in un giorno simbolico e importante) ho consegnato ai carabinieri di Altamura. Se l’autorità giudiziaria vorrà «far luce», forse assisteremo al primo e non ultimo scioglimento di un consiglio comunale per «infiltrazioni politiche».

Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 22/4/2024