La morte di Maria Pia, che aspettava un bambino

Fu un necrologio a tradire l’assassino. Quello che lui stesso fece affiggere, nella migliore tradizione dei paesi del Mezzogiorno d’Italia, su tutti i muri di Gravina di Puglia per testimoniare pubblicamente il suo personale, profondo, invincibile dolore per la morte della sua ex fidanzata, Maria Pia Labianca, vent’anni, studentessa di Psicologia a Padova. Un necrologio strano, inconsueto, eccentrico. «Pensieri giganti mi spingono avanti/ Sfiorarsi da amanti è il sogno di tanti/ La voglia che cresce è una spina che esce». Nessuno riuscì a decifrare subito la provenienza di quei versi: erano i suoi, di Giovanni Pupillo, che poi si scoprirà essere stato il carnefice di Maria Pia, o erano una citazione? E da quale poesia, da quale libro era andato a prenderli Giovanni, che nei suoi ventidue anni di vita non era mai stato uno studente brillante, né aveva mai avuto una particolare passione per la letteratura?
Non ci volle molto per esaudire la curiosità che quel necrologio suscitava. Bastò chiedere a qualcuno dei ragazzi che a centinaia quel giorno partecipavano al funerale di Maria Pia. Non si trattava propriamente di versi, ma della strofa di una canzonetta rockeggiante, intitolata Sexy Dreams e cantata dai Litfiba, gruppo in voga tra i ventenni di allora. Che cosa strana quel necrologio. Strana come la rosa blu posata da Pupillo sulla bara bianca di Maria Pia in cattedrale, l’unico fiore, e l’unico di colore blu tra le migliaia di quel giorno, ad aver avuto l’onore di poter essere adagiato sul feretro della ragazza proprio dalle mani di colui che l’aveva uccisa e che adesso, posando quel fiore davanti a tutti, le sussurrava: «Ti ricordi, Maria Pia?». Una frase così semplice e così toccante che non poteva restare appesa nell’aria senza che Giovanni la riportasse sulla terra e la offrisse al suo pubblico. E Giovanni fece esattamente questo, accusando un mancamento e lasciandosi svenire fin quasi a crollare al suolo, ben sapendo di cascare tra le braccia dei suoi parenti, che gli erano sempre accanto per evitare che il dolore gli facesse commettere «qualche fesseria».
La «fesseria», e quale!, Giovanni Pupillo l’aveva già commessa nella notte tra il 24 e il 25 febbraio del 1999, quando telefonò a Maria Pia e le chiese di andare a trovarlo per un chiarimento sulla loro relazione ormai finita e poi la soffocò. Non la strangolò, ma la soffocò, perché non dovevano rimanere segni sul corpo della ragazza. Già cadavere, Maria Pia venne poi trafitta con una precisa coltellata al cuore e fatta ritrovare in una casa abbandonata della periferia, per terra, nuda, supina, e con le braccia aperte come Gesù Cristo in croce. Il rudere, isolato, era conosciuto da tutti come «la casa degli spiriti» e i suoi frequentatori ne imbrattavano le pareti senza risparmio con scritte sconclusionate più che «sataniste». Ma il luogo si rivelò ideale per la messinscena del rito satanico conclusosi con un sacrificio umano. Una rappresentazione perfetta, che confuse le idee a tutti, anche agli investigatori, da quel momento finiti prigionieri di un labirinto senza uscita in cui tutto era un’illusione ottica: le ipotesi, i depistaggi, le testimonianze vere e quelle false, i silenzi e gli indizi, e persino la stessa morte di Maria Pia. Il numero dei possibili assassini aumentava ogni giorno, l’elenco delle persone sospettate di aver avuto un ruolo nell’omicidio di una ragazza così serena e benvoluta da tutti cambiava di ora in ora, ognuno diceva la sua, ma nessuno, tra quelli che potevano e dovevano, pensò di fare la cosa più semplice, e cioè chiedere e ottenere subito i tabulati telefonici, poiché la notte in cui fu uccisa, Maria Pia chiese aiuto con il suo cellulare, che subito dopo uno straziante «Papà aiutami! Aiutatemi» si ammutolì.
Le cose presero un’altra strada quando l’autopsia rivelò che Maria Pia era incinta, al secondo mese, del suo nuovo fidanzato, studente anch’egli, e che aveva progettato di informare della novità i suoi genitori, tornando a sorpresa a Gravina perché era sua intenzione non interrompere la gravidanza. Troppo per Pupillo e per il personaggio che interpretava. Lui era il duro, possessivo, spietato, freddo Giovanni Pupillo, e se voleva ripresentarsi davanti a se stesso a testa alta doveva punire quella ragazza che a lui aveva preferito un altro. Era sua, Maria Pia, e di nessun altro. E tale doveva rimanere. Per sempre. Lei, lui e il suo delirio di «pensieri giganti», di «voglia che cresce» e «spina che esce».
Pupillo prima ha confessato e poi ha ritrattato, ha detto e contraddetto, si è smentito ed è stato incastrato da prove e testimonianze difficili da demolire, ma non è stato giudicato pazzo. Dopo un processo durato ben quattordici anni, un tempo enorme per come stavano le cose, Pupillo è stato condannato a ventuno anni di carcere. Sei anni li aveva scontati, poi è tornato libero per scadenza dei termini e l’anno scorso, dopo la sentenza definitiva, è tornato in prigione per scontare gli altri quindici anni. Uscirà nel 2028, quando avrà 51 anni. E sarà un’altra persona.

Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 14 agosto 2014