Fa molto caldo. I riflessi si appannano e la volontà si affloscia. E anche luoghi meravigliosi come Taranto appaiono sfocati e lontani, puntini nel Mediterraneo in cui spiagge, spaghetti e cozze, basi militari, e la ex Ilva (ora Accierie d’Italia), il più grande e sciagurato centro siderurgico d’Europa, convivono (o con-muoiono) come Dio vuole.

Attenzione, però. In quel puntino meraviglioso e negletto che è Taranto, si sta celebrando il processo di appello “Ambiente svenduto”, il processo cioè sulla ex Ilva. Che in primo grado si è concluso con condanne pesanti. Decenni di anni di reclusione per gli ex proprietari e i massimi dirigenti dello stabilimento, e tre anni e mezzo per concussione aggravata per Nicola Vendola, per dieci anni presidente della giunta regionale di Puglia, oggi presidente di Alleanza Verdi e Sinistra.

Con questo caldo, e fra chiacchiere televisive, stampa distratta e le consuete idiozie social, si sta cercando di togliere il processo a Taranto. Chi lo vorrebbe a Potenza (per competenza territoriale, dicono i legulei), e chi, come Vendola, ha chiesto di spostarlo a Bari. Il procuratore generale, Mario Barruffa, si è opposto a entrambe le richieste, per fortuna. Ma la domanda è: perchè? Perché cavillare a tal punto da chiedere di spostare il processo a Potenza? E perché Vendola vorrebbe per sé i giudici della Corte di Appello di Bari e non quelli di Taranto, sede naturale di un processo del genere? Perché, su una vicenda che tanti lutti addusse agli Achei (in realtà, qui, Spartani, dato che Taranto fu l’unica colonia della Magna Grecia fondata da Sparta nel 700 avanti Cristo), c’è tutto questo silenzio “democratico”? Eh, Vendola, Bonelli, Fratoianni? E ora anche Ilaria Salis e Mimmo Lucano, visto che l’ecatombe tarantina è una questione europea? Perché volete che il processo sulla ex Ilva traslochi a Potenza e a Bari? Noi una idea ce l’abbiamo. Sì, la stessa alla quale state pensando anche voi.