La radice di tutti i mali è nella legge costituzionale numero 3 del 2001 (confermata poi da un referendum per il quale andò a votare soltanto il 34 per cento degli italiani: quando si dice “la democrazia diretta”…). Quella legge cambiò, anzi stravolse il Titolo V della Costituzione, con la riscrittura dell’articolo 117, che ampliò a dismisura i poteri delle Regioni e ribaltò il criterio di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni: prima, le Regioni erano competenti soltanto in materia di polizia locale urbana e rurale, turismo e viabilità, caccia, assistenza sanitaria ed ospedaliera, mentre tutte le altre materie erano di competenza dello Stato centrale; dopo, e tutt’ora, la competenza esclusiva dello Stato risultava limitata a diciassette materie, elencate nell’articolo 117 della Costituzione, (politica estera, immigrazione, difesa, giustizia, tutela dell’ambiente, eccetera).

Non solo. La geniale legge numero 3/2001 stabilì anche una nuova categoria dello spirito: le “competenze concorrenti”, cioè le materie in cui possono intervenire sia lo Stato, sia le Regioni, come per esempio accade per i rapporti internazionali e con l’Unione europea, il commercio con l’estero, la ricerca scientifica, la tutela della salute, e altro ancora. E per non farsi mancare niente, quella geniale legge previde anche che in queste “materie concorrenti” le Regioni abbiano la potestà legislativa, mentre allo Stato spetti fissare i princìpi fondamentali. Infine, la ciliegia, o il cetriolo: le Regioni hanno “la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

Lo stravolgimento del Titolo V della Costituzione è passato alla storia come la prima grande porcheria consumata nei confronti della Costituzione. Una porcheria che poche voci isolate già allora predissero avrebbe provocato ulteriori guasti e nuovi guai. Per assecondare la Lega Nord di Umberto Bossi e il suo progetto federalista, e naturalmente per conservare il proprio potere, i nostri “maoisti” di allora – guidati da Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato – intrapresero la loro “lunga marcia” per sventrare il Titolo V della Costituzione.  Nel 1997, Prodi (governo Prodi I) istituì una Commissione bicamerale che studiasse l’obbrobrio. Nel 1999, D’Alema, capo del governo, accolse la proposta di legge della Bicamerale con la famosa dichiarazione d’amore “la Lega è una costola della sinistra”. Nel 2001, con il nuovo capo del governo, Amato, la schifezza venne finalmente approvata.

Questa ricostruzione dei fatti va sempre tenuta a mente quando si parli di Costituzione, decentramento e, oggi, di Autonomia differenziata (giustamente accostata, a nostro avviso, alla raccolta differenziata dei rifiuti). I politicanti presuntuosi e ignoranti di allora e di oggi sono gli stessi, che, assieme ai loro squittenti epigoni prontissimi a vendere anche la madre per un posticino in un Consiglio regionale, si sbracciano “in difesa della Costituzione”. Non sono credibili. Né loro, né gli squittenti epigoni in questi due decenni da loro “formati” e “nominati”, e come loro opportunisti, ignoranti e presuntuosi. Tanto è vero che dal 2001 al 2018, grazie al guazzabuglio di questi azzeccagarbugli, ci sono stati 1.800 ricorsi alla Corte Costituzionale (della quale oggi fa parte Amato, che immaginiamo imprigionato nella sua stessa matassa). Insomma, un conflitto tra Stato e Regioni che nemmeno la Guerra dei trent’anni (1618-1648). Ma che, in compenso e senza colpo ferire, ha portato a chiamare “governatori” i presidenti delle giunte regionali, ognuno dei quali si sente e agisce come un piccolo capo di Stato e come se l’Italia fosse gli Stati Uniti, cioè uno Stato federale.

Con il “governatore”, poi, abbiamo avuto, prima nella lingua scritta e parlata, e subito dopo anche nei documenti ufficiali e nei progetti di legge, il “premier”. Non più il presidente del Consiglio, o il capo del Governo, no, ma “il premier”. Anche qui, nemmeno fossimo nel Regno Unito, e nonostante una Costituzione disegnata per una democrazia parlamentare, la cui centralità appunto, è nel Parlamento. Nessun problema, in Italia si può tutto. Come nel 2001, ecco che nel 2024 “in cambio” di una Raccolta (pardon, Autonomia) differenziata, si progetta il “premierato” (già il termine, “pidgin” a base inglese, fa cagare). E chi è che fortissimamente lo vuole? Giorgia Meloni. Quella stessa ragazza che appena qualche anno fa inorridiva, e con giusta causa, di fronte al fallimento del sistema regionale inaugurato in Italia nel 1970, adesso è pronta a calarsi le mutande davanti all’Autonomia differenziata della Lega pur di ottenere in cambio un “premierato”, cioè l’inserimento nella Costituzione della elezione diretta del presidente del Consiglio attraverso un’altra bella legge elettorale con tanto di premio di maggioranza per le liste a sostegno del “premier”. L’unico punto condivisibile di questo progetto di “premierato” è la cancellazione della nomina dei cinque senatori a vita da parte del presidente della Repubblica: non ha più senso, è vero, ma si può farlo per altra e più spedita via, non mettendo in moto la macchina perversa del “premierato”. Che sta alla nostra Costituzione come l’innesto di un melograno su un albero di nespole.

Come vedete, siamo circondati da statisti, e non da ora. Ciononostante, abbiamo sviluppato l’immunità da (quasi) tutte le malattie, sia dal grillismo, ingurgitato e ormai digerito, sia dal Covid, l’ultima grande truffa medico-farmaceutico-politica su scala mondiale, sia dagli allarmi quotidiani sul “ritorno del fascismo”. Che ovviamente non ci sarà. Ma che serve a creare il panico. Affinché vinca lo sfascismo degli idioti. Contro il quale non esistono cure.