
Quando, fra dieci o vent’anni, o forse anche solo tra un anno, si dovessero rileggere le articolesse scritte oggi in memoria di Gianni Agnelli in occasione del ventesimo anno dalla sua morte, si capirà meglio qual è il livello di merda a cui è giunto il cosiddetto giornalismo italiano.
Fatta eccezione per l’articolo di Gigi Moncalvo, «Le ipocrisie sull’Avvocato compiono 20 anni», uscito su La Verità, tutto il resto è vomito.
All’Avvocato, l’ultimo Re d’Italia, leccavano i piedi in vita che era una bellezza. Ma il fatto che continuino a farlo compulsivamente anche post mortem, ci fa capire che Paese è l’Italia. Questa degradante professione postuma di servilismo nei suoi confronti, questa colata di saliva senza vergogna, sarebbe stata incassata dal Re come tributo al Potere, ma il Re pur con tutto il suo cinismo l’avrebbe disprezzata.
Le articolesse di oggi vanno lette e rilette perché sono un documento storico eccezionale, unico anche dal punto di vista dello sprezzo del ridicolo. Uno dei maggiordomi ancora in servizio, per esempio, per dire che a Gianni Agnelli piaceva la figa sempre e comunque, ha scritto che era «un esploratore instancabile dell’universo femminile». Eh, sì, purtroppo all’Avvocato, dopo il decesso, non è andata molto bene: gli è toccato un Omero di serie B.
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