Bene, adesso è ufficiale: grazie ai “Twitter Files” apprendiamo che prima l’Fbi e poi il Dipartimento di Stato americano controllavano Twitter e, attraverso il “club di moderazione dei contenuti” erano in grado di stabilire cosa dovesse essere pubblicato e cosa no sia su Twitter, sia su Facebook.

Il pretesto era il “pericolo russo”, cioè la presunta opera di disinformazione che su queste piattaforme sarebbe stata esercitata direttamente dalla Russia per influenzare le elezioni americane. Un allarme rivelatosi infondato, ma che è servito prima di tutto a censurare lo scoop del New York Post sugli affari sporchi in Ucraina di Hunter Biden, figlio del presidente (scoop vero, non una fake news), e poi a “dare una regolata” alle notizie e alle opinioni su alcuni temi caldissimi, come il Covid e i vaccini, i misteri di Wuhan, gli scienziati “non allineati” alle verità ufficiali propagandate in nome della scienza, e insomma a “raddrizzare” il pensiero di tutti coloro che avanzassero dubbi e critiche alle politiche pandemiche che ci hanno sprofondati in un incubo planetario.

Qui, nel nostro piccolo, come sapete, siamo stati più volte vittime di Facebook e del suo “controllo dei contenuti”. Una censura alla quale in generale finora si è dato poco credito, sia per lo spiegamento in forze di istituzioni, stampa e tv, gran parte della classe medica, scienziati ed esperti proni – e loro sì, negazionisti -, sia per la concertata azione dei talebani lobotomizzati del web, i quali liquidavano la questione del controllo con la paroletta magica “complottismo”. Sempre nel nostro piccolo, però, lasciateci dire che siamo stati bravi ad abbandonare Facebook qualche giorno prima che lo scandalo (tenuto basso dai mass media) esplodesse. L’auspicio è che adesso siano sempre più numerosi quelli che decideranno di andarsene da Facebook. Se no, cazzi loro.

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