Avevano 2 e 4 anni, vivevano nell’insediamento di Stornara tra lamiere e cumuli di immondizia. Il fuoco divampato da una stufetta a legna. La mamma era appena andata da una «vicina» a chiedere un po’ di caffè









Stornara (Foggia)
Due fratellini di quattro e due anni, un maschietto e una femminuccia, bulgari di Burgas, sono morti carbonizzati ieri mattina in una baracca della favela che sorge a un paio di chilometri dal cimitero di Stornara. Sono morti così, come possono morire soltanto i disperati della Terra. Come morirono Aylan e Galip, i fratellini curdi di tre e cinque anni annegati sulla spiaggia turca di Bodrum nel 2015 nel tentativo di cercare salvezza in quest’altra parte del Mediterraneo. La tragedia dei fratellini curdi era riassunta in quella foto di Aylan riverso sulla spiaggia, che fece il giro del mondo e lo indusse a provvisoria commozione. Per i due fratellini bulgari Hristov e Alina nemmeno questo. Chi li ha visti non aveva niente da fotografare. I due corpicini si potevano a malapena distinguere da due pezzi di legno usati per il fuoco di un camino. E dopo che i pompieri hanno spento l’incendio, e medici e carabinieri hanno svolto i dovuti sopralluoghi, i due bimbi sono stati portati via dal carro funebre, seguito da una macchina in cui c’erano i loro giovani genitori, 25 anni lei e 28 lui. Niente nomi. Nessun commento. Anzi, che tutti mantengano la distanza sociale necessaria, perché c’è il Covid. Invece siamo entrati nella favela, l’abbiamo percorsa in ogni angolo, tra baracche di cartone e montagne di rifiuti, e abbiamo parlato con questa gente.
La tragedia è «semplice», banale. Ieri mattina, intorno alle 8.30, la mamma dei due bambini è andata da una vicina di «casa» a chiederle del caffè e si è trattenuta un po’ con lei. I due bambini dormivano beati nella loro «casa» di cartone pressato e di lamiere, riscaldati da una stufetta a legna. All’improvviso, una colonna di fumo. Poi le fiamme e l’urlo della mamma: «I bambini!». Troppo tardi. Alle 9 la catapecchia era stata già divorata dalle fiamme e quando sono arrivati i vigili del fuoco si è trattato solo di impedire che l’incendio divampasse in tutta la favela, un sobborgo di Quarto Mondo innestato nelle campagne ben curate e molto produttive della Capitanata. Un posto di cui l’Italia dovrebbe vergognarsi, nel quale vivono come animali un migliaio di persone durante l’inverno e, d’estate, almeno tremila. Cioè più della metà degli abitanti di Stornara, ma concentrati su una superficie che non supera i due ettari.
In questo luogo dell’orrore non ci sono né clandestini, né extracomunitari. Gli abitanti di questa favela italiana sono tutti bulgari. Vengono da Burgas, come la famiglia di Hristov e Alina, ma anche da Sofia, da Sliven, da Stara Zagora, e hanno tutti i documenti in regola. Sono braccianti stagionali. Alcuni riescono a trovare lavoro regolare, molti altri soltanto a nero. Ma non si capisce perché ancora adesso molti continuino a ripetere che questo è un «campo nomadi». Non ci sono nomadi nella favela di Stornara, né di etnia Rom né di qualunque altra etnìa. Al contrario, questi ubbidienti braccianti bulgari che vengono qui a lavorare nei campi e si portano dietro i figli piccoli sono più stanziali degli autoctoni. Tanto stanziali che per rimanere in questa discarica chiamata «campo» devono pagare 50 euro a testa a chi passa a riscuotere questa infame «tassa di soggiorno» vantando non meglio specificati «diritti» sull’area della baraccopoli.
Hristov e Alina non sarebbero morti, e a Stornara e altrove non vi sarebbe una emergenza umanitaria, se le istituzioni avessero fatto ciò che da anni chiedono i lavoratori agricoli stagionali stranieri: un insediamento di prefabbricati come quelli per i terremotati, magari incaricandone la Protezione civile, con acqua, corrente elettrica, servizio di raccolta dei rifiuti. Per vivere da umani. Per non morire bruciati vivi.
Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 18/12/2021
Foto Cosimo Forina©
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