Maestri / Aveva 94 anni. Il suo astrattismo ora a Rovereto

Rovereto (Trento)

Achille Perilli, uno dei grandi maestri dell’astrattismo italiano, è morto ieri a 94 anni e tuttavia andrà in scena dopodomani al Mart di Rovereto, dove l’infaticabile Vittorio Sgarbi lo ha voluto in mostra insieme con Piero Guccione. Un attore non avrebbe potuto. Un artista invece sì, può salire sul palcoscenico anche dopo la morte e nessuno se ne accorge.

Ancora vivo, Perilli aveva scherzato sulla sua “presenza” in questa mostra accanto al defunto Guccione, curata da Marco Di Capua e Daniela Ferrari e felicemente intitolata Ai confini dell’astrazione. Ma adesso, a guardare uno dei suoi dipinti in esposizione, Summit (1968), forse si può capire perché. Questa composizione di parallelepipedi nello spazio, che ognuno può interpretare come vuole, a seconda di ciò che i propri occhi, o meglio, la propria mente, gli suggeriscono di vedere, potrebbe benissimo essere una gigantesca mano meccanica, che incombe sul Tutto e che, rapace, cala dall’alto o emerge dal buio quando meno ce lo aspettiamo, e afferra tutto ciò che trova, uomini e cose, e quindi anche Perilli, che forse, essendo di quest’opera il genitore, ha avuto almeno il vantaggio di non farsi cogliere impreparato.    

Perilli è senza dubbio un figlio di Vasilij Kandinskij, ma in Italia, quando la pittura informale comincia a farsi strada, subito dopo la Seconda guerra mondiale, è il momento del realismo alla Guttuso, non dell’astrattismo, che quel realismo rifugge, considerandolo pari se non subalterno alla fotografia. Perilli e gli altri promotori del nuovo astrattismo – Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato, con i quali firma il manifesto del gruppo Forma 1 – , puntano a una trasfigurazione della realtà che non si ferma alle mere forme geometriche e che attira su di loro l’anatema di Giorgio De Chirico. “Ci definiva buffoni”, ha detto in una delle sue ultime interviste Perilli, che su De Chirico aveva scritto la sua tesi di laurea e che nonostante quell’insulto ha stimato il Maestro fino all’ultimo.

Non c’erano però soltanto il “modello” Guttuso e la stroncatura di De Chirico. Intanto, se Guttuso faceva capo ai comunisti, i socialisti promuovevano le mostre delle opere di Perilli e compagni, e poi c’era il poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli, mente apertissima e poliedrica, che attraverso la rivista che dirigeva (“La Civiltà delle macchine”), aprì le porte a Perilli e all’astrattismo.

Sinisgalli non lo fece per caso o per dispetto, ma perché, come nota Giuseppe Appella, uno dei maggiori conoscitori della poetica di Perilli, “il suo scarabocchio da graduale e approssimativo si fa severa parabola sociologica e la sua pittura, all’insegna della leggerezza e della misura… ha la castità della geometria dispiegatasi in uno spazio immaginario, una sorta di sopramondo privo di peso”.

“Io mi diverto, se vengono cose belle o brutte non mi interessa”, diceva di sé, ironico e sornione Achille Perilli, per poi infilzare coloro che lo attaccavano con la seguente affermazione: “La prospettiva è la forma più repressiva della fantasia”. E addio secoli di arte figurativa. D’altra parte, dice Sgarbi, “non è che Perilli, come anche Guccione, non fosse un pittore impegnato e non sentisse i temi del conflitto sociale ma, per lui e per Guccione, la questione centrale era quella del linguaggio. Della forma. E non potevano accettare la facile scorciatoia dell’illustrazione, della denuncia sociale sui temi caldi”.

Ecco dunque che sia per Perilli, sia per Guccione si apre la strada dell’astrazione. Nelle loro opere in mostra al Mart l’esito di questo identico cammino è solo apparentemente opposto – la “fissazione” per l’azzurro del mare e del cielo di Guccione, la “prigione” del disegno geometrico di Perilli -, poiché a prevalere è in entrambi i casi ciò che l’artista vuol farci vedere non attraverso il ragionamento, ma mediante la pura intuizione. Passaggio della visione, dipinto da Perilli nel 1987, ne è l’esempio migliore.

Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 18/10/2021